Franca Bellucci

Mare d’Amare Donne. Rapsodia

da

IL PUNTO

PROLOGO IN DUE QUADRI

(autrice)


da

QUADRO UNO

Novembre 2008


Zigzagare di lezioni incredule

di capitale in capitale in Africa

- ben oltre il Ghana e il Togo

e la Liberia, le patrie ‘origine -

come tono risorto di tamburo

nell’antica matrice proclamata

panafricana.


Una prova ulteriore della storia

per misurare l’ideale panafricano

cui dà voce ancora la signora

fra tensioni crescenti.

E l’Italia ne è parte:

terra che è appendice profonda

dei sussulti dell’Africa.

Ponte di folle

che il Mare Antico tentano:

migranti ad ogni titolo,

in dinamiche antiche,

certo in torbidi nuovi.



da

QUADRO DUE

Mare antico storia di attese


Separata dal compagno di liti

avventuro la mia zattera sghemba

fra i detriti di culture ancestrali:

è il Gran Mare il mio campo,

le sue sabbie pazienti

di naufragi infiniti.

Fra gli interni ordinati dei musei

tracce di società

che le donne han vissuto

con attributi altri di prestigio

altre aporie e legittimazioni.

Forza che dalla Dea rigorosa

trascorre al gruppo

nella vita precaria,

e poi di madre in figlia:

come nella Sicilia ardua di spighe

evocata nella cortese Aidone.




da

TRATTI MEDITERRANEI

L’ANTICO IN TRE QUADRI

(per Inno a Demetra)


da

QUADRO UNO

Il tempo di Creta


Sul continente gli alleati armati

danno gran peso alla parola ‘padre’:

sui padri un filo fondano

di gioventù perpetua,

generazione su generazione.

Fra gli uomini s’intessono le reti:

uniformi nel vivere

dignitari guerrieri e marinai.

Predoni paghi dei beni ammassati

irridono alle arti delle donne

vantandosi d’inganni

come d’Arianna si è servito Teseo

per riscattare Atene.

E su uno scoglio

l’ha presto abbandonata

scrollando la compagna

dalla sua vita.



da

QUADRO DUE

Il tempo di Demetra


Dopo il giorno pesante di lavoro

nella mia gravidanza avanzata,

alienate le membra doloranti,

rivolta non parrà questo momento

se m’accovaccio chiusa dentro al velo.

Stessa tregua sul mare

nella linea marcata

che allontana la luce dalla sera

mentre si placa l’acqua negli anfratti.

Ritmi e tempi,

questo è il dono del mio sentirmi madre

e imminenza di morte

e vittoria di vita.

Straordinaria gioia

il sobbalzo dell’altro

che al tuo io prepotente

dà impulso e se ne apparta:

nell’arco della vita l’intrusione

di grumi lancinanti

di contatto e mistero.



da

QUADRO TRE

Il tempo di Delfi


L’assemblea ha allestito una missione

a Delfi, per l’oracolo

sacro tra i monti e i lauri

nell’ansimare scabro di cicale.

Oggi l’araldo ripete la sentenza

pronunciata dal vate Tiresia,

il diletto-odiato dalla Coppia olimpia,

cui mostra Apollo mondi

interdetti per gli occhi dei mortali.




da

ISOLA FRANCA

UNA GIORNATA NEL MEDIOEVO IN TRE QUADRI

(per Eloisa)


da

QUADRO UNO

Il mattino. In attesa dell’ultimo passaggio


Fu la cime

cui volesti innalzarmi: io tua alunna

già di tutto consorte,

ed ormai, come attendo

questo mesto ‘passaggio’ al mio recinto,

tua breve scia al mondo.

Confermo la promessa: mia cometa

sarà l’equazione vita-parola,

la tua dura battaglia.



da

QUADRO DUE

Il pomeriggio. Conosci te stessa.


“Quasi elette al di sopra degli apostoli”

più volte le donne hai definito,

“apostole” a Dio care.

Qui è per me la base

per edificare compito e cura,

per donne che si saldino in futuro

alla res publica, in nome e assunto,

dal travaglio presente:

con sapienza provare l’equilibrio della regola giusta

nei recinti di ospitali abbazie.



da

QUADRO TRE

La notte. Meditazione


Signore grande, che asceso al cielo

proclamasti era nuova a tutti i popoli,

tu che dalle absidi delle basiliche

alta sapienza ispiri

per la mano segreta degli artisti,

questo io ho imparato

nelle prove del vivere:

non è un uso degno del tuo messaggio,

ma di menti insensibili,

abbandonare fuori delle mura

chi la vita ha piagata

nell’anima e nel corpo.



da

PONTI DI RETE

L’ATTUALE IN SEI QUADRI

(per Miriam Zenzile Makeba)



da

QUADRO UNO

Gli affacci


Non imporre, mercante, i tuoi impacci

a me, libera ed umile

cui è misura

il sobbalzo del cuore

e lo sguardo

filtro della mia gioia

agli altri impone misura e attesa.



da

QUADRO DUE

Malaika (Angelo mio)


“Angelo mio,

non ci sarà pietà del nostro ardore.

A nulla vale il nostro reclinare

confidente dolce-acre

palpito che il tempo comune ignora

e un cosmo crea

d’intimo lento appagamento duplice.

Con mano salda tengono il timone

i capi delle caste,

questi che monopolio

di identità detengono

e senza appello escludono

la gioventù ribelle.

Così anche tu, trepidante gazzella,

sai che ferrei anelli d’antenati

avvolgono i tuoi impulsi più veri

di usi inderogabili.”



da

QUADRO TRE

Libertà cioè riproporsi


Altra trama di stili in Occidente.

Il viatico accolto dal Sudafrica,

“Conosci il mondo”,

s’incontrava col “Te stesso conosci”,

limite ironico

a convergere insieme,  e ardua corda

a scandagliare nel profondo il sé

superbo e fragile.



da

QUADRO QUATTRO

Il mio abbraccio misura d’Africa


La mia gioia

è chiamare ‘ferita’ la ferita

la mia gioia

è soccorrere gli altri

che constato feriti.


La mia gioia è l’unisono grido

nel singhiozzo arpeggiato dei ritmi:

libertà da ogni ferita

per l’Africa.


Libertà è se non ti lasci andare

sui margini del male

e grazie è se ti curi

di saperti fiore entro la corona

di una infiorescenza.



da

QUADRO CINQUE

Kidegé (Uccellino)


Così anche il kidegé

minuto, fragile grumo di piume

s’imbranca fra i suoi simili

eppure tra quanti estranei guarda

accade che diventi atesa cara:

nel segreto insaputa degli scambi

dona sorsi inattesi d’ebrietudine

col suo canto di guardia

e con il frullo scontroso delle ali.



da

QUADRO SEI

Settembre 2008


E’ sobbalzo del cuore il Mare Antico

crogiolo dei tragitti e degli scontri.

Sui legni voci meticce s’incrociano

sotto lo sguardo metallico del muto

dei satelliti:

ancora ben presenti

gli Stati supremi.

Nel mare sotto la crosta del fondo

flùita l’Africa inquieta

guadagnando su su

contro valli dell’Alpi

nel bacino Danubio.

Lunga, una scia di fremiti

e di camini lavici.




NOTA DI LETTURA (Laura Visconti)


Un Mediterraneo, “Mare di Affacci”, da sempre centro di vita di scambi di traffici di lotte di guerre di violenze di “naufragi infiniti” e oggi anche di “organizzati soprusi”, è il mare amaro intorno al quale in ogni tempo “le attese di donne hanno pulsato”. E’ il mare nostrum il centro di questo poema in versi, ricco complesso profondo frutto di una cultura storica letteraria penetrante che spazia dalla Grecia antica al Medioevo fino all’attualità, ma soprattutto frutto della sensibilità storica e sociale di una tradizione consolidata fatta di occultamenti e di false pacificazioni.

Alla densità dei fatti narrati fa da contrappeso una intensità emotiva, una ricca e coinvolgente scelta lessicale, una condensazione linguistica rafforzata dalle numerose ellissi.

Già nel titolo il poema è definito Rapsodia dichiarando così le affinità con la poesia epica degli antichi rapsodi (e anche dei bardi nordici) che andavano recitando e/o cantando in pubblico eventi storici e fatti di cronaca.