LA RETORICA COME COSTRUZIONE DEL RAPPORTO PUBBLICO-PRIVATO
Siamo circondati dalla retorica, da ciò che non pone i temi in modo problematico ma in termini di buona volontà. Non individua i problemi ma pone l’invito a superarli prima ancora di averli affrontati, anzi senza intendere di volerli affrontare.
La retorica sta qui. Cos’è la retorica, infatti? Porre l’apparenza in cui riconoscersi, ciò che non urta, ma esalta, ciò che contiene già la risposta che è poi quella che tutti vogliono/devono sentire, non perché è quella giusta ma perché non pone/non deve porre problemi a nessuno, perché non mette/non deve mettere nulla in discussione. La retorica punta all'omologazione, questa è la sua funzione.
Cosa vuol dire non porre problemi?
Annusare. Percepire la forza. Non la ragione.
Dov'è la forza? Nella somma di vastità e violenza. Quando le vastità si equivalgono, la maggior violenza diventa forza, cioè riconoscimento.
Qual è la differenza fra violenza e forza? La violenza è l'esibizione dell'energia come minaccia sugli altri. Essa aspira ad uscire dall'ostilità degli altri, dalla condanna, aspira ad esser riconosciuta, a operare il passaggio da una rete sociale in cui è incoraggiato il comportamento benevolo verso gli altri ad una rete sociale in cui è accettato un comportamento verso gli altri aggressivo, dall'accettazione, tolleranza degli errori, debolezze, diversità degli altri, a un comportamento aggressivo verso ogni debolezza, errore, differenza degli altri: punta a costruire un tessuto sociale omogeneo e attivo contro ogni differenza, interna alla propria rete sociale e verso le reti sociali esterne, nei confronti delle quali ci si pone in atteggiamento aggressivo minacciandone la soppressione.
Questo vuol dire apparenza, puntare a come si vuol essere percepiti e mirare a cambiare le caratteristiche della rete sociale.
La violenza ha un carattere fortemente soggettivo nel senso che tende a imporsi con la soggettività, con la volontà sulle soggettività, sulle volontà degli altri.
L'isis amplia il raggio d'azione e lo amplia laddove può esser percepito e laddove i percettori possono diventare parte della vastità.
Da questo punto di vista è molto simile al buonismo che pure è essenzialmente volontaristico, soggettivo e in tal senso aggressivo e violento nel tendere a minacciare di giudizio negativo le soggettività degli altri che non rientrino negli schemi della rete sociale che si mira a costituire.
La retorica consiste nel porre una volontà di essere e nel porla giudicandola dall'apparenza.
Cos’è che si oppone alla retorica?
Lo scandalo.
Cos’è lo scandalo? Lo scandalo è ciò che mette il dito sul contrasto, ciò che sta sulla soglia fra il pubblico e il privato.
Cos’hanno a che vedere il pubblico e il privato con lo scandalo?
Lo scandalo non mira ad apparire, mira alla giustizia e quindi al giudizio di valore basandosi sull'analisi delle cose. Analisi di che? Di ciò che nasconde l'ingiustizia, cioè del rapporto fra pubblico e privato. Pur non mirando ad apparire lo scandalo entra prepotentemente nell'apparenza perchè mira a rompere il velo che separa l'apparenza dal nascosto.
Il privato infatti è il nascosto che deve restare nascosto. Cosa nasconde il nascosto? Il nascosto nasconde l’ingiustizia e la debolezza che dall’ingiustizia deriva.
Chi nasconde l’ingiustizia? La vittima nasconde l’ingiustizia.
Perché la vittima nasconde l’ingiustizia?
Perché l’ingiustizia mette in discussione il pubblico.
L’ingiustizia viene consumata nel privato ed è ciò che in pubblico deve essere negato. Perché?
Perché il pubblico stabilisce rapporti astratti e giusti fra gli uomini e lascia che l’ingiustizia si consumi in privato.
L’ingiustizia privata deve restare totalmente nascosta?
Assolutamente no, l’ingiustizia privata viene sempre comunicata, anzi aspira ad esser conosciuta.
Chi aspira a farla conoscere? L’ingiusto; è la vittima invece che tende a nasconderla.
Perché la vittima tende a nascondere l’ingiustizia che subisce? Perché essa rappresenta lo svelamento della sua debolezza.
Ma se lo scandalo è lo svelamento dell’ingiustizia facendola passare dal privato al pubblico, chi vuole lo scandalo?
Vittima e carnefice vogliono entrambi lo svelamento del rapporto nascosto, ma il carnefice lo vuol rinchiuso in un "dato-ad-intendere", in ciò che fa vedere ciò che il nascosto nasconde senza togliere il nascondimento dalla sfera del dicibile. La vittima teme lo svelamento, soprattutto quello che entra nel dicibile, cioè lo scandalo finché non si decide ad affrontarlo, cioè a combattere l'ingiustizia che esso nasconde.
Come funziona questo meccanismo?
L’ingiusto è il forte, la vittima il debole.
Il forte è orgoglioso della forza e il debole è vergognoso della debolezza.
Questo è il piano dei rapporti reali. È il piano della realtà.
Al di sopra del piano della realtà sta il piano della costruzione politica che disegna un sistema di rapporti ideali, un sistema di giustizia, un’ipotesi da perseguire.
Sotto il velo del pubblico la vittima nasconde la propria debolezza, ma il forte vuole esibire la propria forza. L’esibizione però non può avvenire in modo diretto perché ciò sfiderebbe tutta la costruzione politico-pubblica.
L’esibizione avviene su un altro piano, sull’intesa, sul far intendere senza dire, su un piano comunicativo velato e non palese.
Dove si colloca allora lo scandalo? Lo scandalo si colloca sulla soglia, nel punto in cui si apre la porta del pubblico sul privato, ed è la vittima che causa lo scandalo. Perché?
Quando la vittima affronta la propria debolezza, cessa di temerla e la rivela, sfida l’ordine costituito sul duplice piano, del velo e del dato a intendere. L’ingiusto non può più mascherare la propria forza sotto il velo della giustizia, deve rivelarla per quello che è, come sfruttamento, come sottomissione, come mancanza di rispetto, come carnefice.
Lo scandalo non mira a creare un nascosto, mira all'accettazione delle differenze che non comportano ingiustizia, cioè diversità di rispetto verso l'altro. Se si vuole lo scandalo nasconde l'eco negativa che la diversità dell'altro ha su di sé come derivato della forza persistente in sé del giudizio retorico.
Quali sono i topos che rappresentano il crinale di contatto fra pubblico e privato, cioè i luoghi in cui si costituiscono i tabù?
La religione
Il comunismo, le ideologie
Il sesso
Lo straniero debole.
La religione non si può esibire, essa sarà investita immediatamente delle sue contraddizioni, delle rotture ai suoi ideali di giustizia, ai mascheramenti dell’ingiustizia. Il privato ne permette la persistenza.
Le ideologie, analogamente: il comunismo ha mascherato le peggiori nefandezze, la promessa di democrazia sostanziale ha consumato le peggiori schiavitù.
Il sesso è il luogo in cui si consumano le maggiori ingiustizie e la sua maschera ideale è quella che riduce tutto a omologazioni dei sessi: le rivendicazioni del femminismo mascherano prima di tutto le ingiustizie fra donne.
Le rivendicazioni all’omosessualità mascherano prima di tutto le ingiustizie fra gli omosessuali.
I rapporti verso gli stranieri deboli diventano l’ultima frontiera dell’ipocrisia: nell’invettiva contro lo straniero si dipinge una figura di sé ideale e irreale, legalistica, corretta, rispettosa, egualitaria e giusta. Lo straniero diventa il capro espiatorio di tutte le nefandezze che ci riguardano e che possono essere ripulite scaraventandole sullo straniero. È anche il modo per il ”meno” straniero di liberarsi della propria stranierità.
Ma la religione, il comunismo, il sesso, la stranierità, sono tutti topos che velano l’ingiustizia senza nulla di buono in sé?
Essi sono stati la promessa, la tensione della liberazione, ciò che ha rappresentato tutte le conquiste delluomo. Esse sono l’uomo che tende a liberarsi dai propri peccati, dalle proprie debolezze, dalle proprie miserie.
Adesso stiamo consumando lassenza di ogni promessa, rinchiuse tutte le promesse nella privatezza e consumate distruggendole.
TEMA: CIÒ CHE LA PIAZZA RIVELA, CIÒ CHE LA PIAZZA NASCONDE
Destinare ogni piazza allo svelamento di un nascosto
POESIA IN MERITO AL TEMA EXPO: NUTRIRE IL MONDO, ENERGIA PER LA VITA
COINCIDENZA-OTTIMA-COSA
Prima Parte: Nutrire il Mondo
Ciò che vogliamo è ciò che dobbiamo
e ciò che dobbiamo è ciò che vogliamo.
Coincidenza delle coincidenze. Ottima cosa.
Cos'è che vogliamo?
Nutrire il mondo.
Noi lo vogliamo.
Lo vogliamo noi?
È nostro potere?
Se è nostro potere non lo abbiamo voluto.
Finora.
Se lo abbiamo voluto, non abbiamo potuto.
Discontinuità soggettiva fra volere e potere.
Torniamo alla coincidenza-ottima-cosa:
Cos'è cambiato?
Possiamo adesso ciò che volendo non potevamo,
O vogliamo adesso ciò che potendo non volevamo?
Niente è cambiato,
io stesso son qui come prima,
seduto sulla medesima sedia,
penna in mano e carta bianca sotto.
Questo è cambiato:
la penna scrive e il pensiero pensa.
Pensare è potere.
Giusta proposizione.
La cultura. Nutrire il mondo si può.
La cultura può.
Ma fin dove avanza il potere del pensiero?
Può cambiare il mondo?
Il mondo intero può cambiare, il pensiero?
Ecco un punto, un problema, uno slittamento
che batte esattamente lì,
sulla parola cultura.
Cos'è cultura?
Altra coincidenza potrebbe,
Cultura-è-pensiero.
Se pensare è potere e se potere è cultura
volere è pensare.
E se volere è pensare che può fermare il volere?
Che può impedire il cambiamento del mondo?
Nutrire il mondo.
Imperativo categorico,
Coincidenza delle coincidenze.
Ma cultura-e-pensiero non sono esattamente
lo stesso.
Il pensiero pensa e si fa cultura.
Ma pensando non sa
la cultura che sarà.
La cultura è là
e il pensiero la percorre.
Che troverà il pensiero nel suo viaggio?
Nessuno lo sa.
Pensare è potere - questo è vero.
Ma solo dopo. Non prima.
Questo spezza la coincidenza-ottima-cosa,
si interpone fra potere e volere
sì che volere non è più potere
e il potere vacilla di fronte al dovere.
Cos'è allora la coincidenza delle coincidenze?
Cos'è questa frase che inanella parole
e le diffonde nel mondo?
Che dice al mondo:
"Guarda mondo cosa voglio io?
Guarda mondo la mia volontà,
volontà di bene,
volontà universale,
che mi appartiene."
Ecco allora che questa,
la dichiarazione imponente,
rivela se stessa,
la chiusura in se stessa,
la volontà che si chiude in sé,
che non trattiene il proprio apparire
davanti all'incognita del viaggio
che il sapere deve intraprendere,
ma dichiara prima ancora di aver toccato l'ignoto,
ciò che troverà in ciò che non sa.
Che troverà?
La sua volontà.
La dichiarazione della sua volontà.
Troverà se stesso,
il bambino impotente
che con splendido riso si rivolge alla madre
e che dice:
"Guarda mamma come bravo son io!"