COOP LOMBARDIA IN BURKINA FASO
Guido Galardi presidente Coop Lombardia
Da sempre la nostra cooperativa si distingue per l’attenzione verso tematiche sociali e ambientali, selezionando con attenzione i prodotti, soprattutto quelli a marchio, da distribuire all’interno della nostra rete vendita. In particolare, con gli articoli "Solidal" noi sosteniamo il commercio di piccole produzioni realizzate nei paesi in via di sviluppo il che significa aiutare concretamente le comunità locali.
Coop Lombardia, tra le varie attività, ha deciso di investire concretamente in progetti di sviluppo e cooperazione in Burkina Faso. Tutto nasce per caso nel 1990 grazie a un incontro fortunato tra uno studente burkinabè, la Facoltà di Agraria dell’Università degli Studi di Milano e la nostra cooperativa.
Il primo progetto è di agro-ecologia e il motto è “produrre senza distruggere”. Bisognava trovare il modo di contrastare l’avanzamento del deserto e far dialogare due culture diverse, perfezionando la tecnica, ma tenendo ben presente quelle che erano le conoscenze, le idee e i metodi di lavoro tradizionali. E da allora in collaborazione con i gruppi di villaggio, raggruppamenti pre-cooperativi con finalità di sostegno alle attività locali, sono stati avviati moltissimi progetti che dall’agricoltura si sono estesi anche ad altri ambiti e che coinvolgono soprattutto le donne, infatti è proprio intorno a loro che ruota l’economia familiare.
Nel 2001 nasce l’associazione Donne per le Donne che, in collaborazione con Coop Lombardia, ha lo scopo di finanziare microprogetti di cooperazione per sostenere le attività femminili dell’Unione dei Villaggi di Tanlili, distanti pochi chilometri dalla capitale Ouagadougou.
Coop Lombardia e l’Associazione Donne per le Donne hanno deciso di sostenere lo sviluppo di queste comunità promuovendo corsi di alfabetizzazione e percorsi di formazione per le attività artigianali, utili a sviluppare l’economia locale e ad integrarne il reddito.
Ed è proprio in questi villaggi che sono state scattate la maggior parte delle fotografie raccolte in questo catalogo.
L’autrice ha lavorato prevalentemente sulla figura femminile per raccontare attraverso un gesto, un abito, uno sguardo le difficoltà quotidiane di questo paese, ma anche la voglia di reagire e di sperare in un futuro migliore per se stesse e per i proprio bambini.
Abbiamo sostenuto con convinzione il lavoro di Silvia Amodio, perché attraverso queste fotografie così significative si possa dare testimonianza di una realtà per tanti versi lontana dalla nostra ma capace, attraverso l’immediatezza delle immagini, di farci riflettere sui valori che nel nostro mondo, moderno e “sviluppato”, sembrano essere smarriti
DEO GRATIAS
Silvia Amodio
Sono andata in Burkina Faso per documentare un progetto dell’Associazione Donne per le Donne sostenuto da Coop Lombardia. Burkina Faso, ha un significato romantico, in Morè, la lingua locale, significa La terra degli uomini integri. Un nome che gli è stato assegnato nel 1984 da una figura carismatica Thomas Sankarà, in sostituzione di Alto Volta, come qualcuno ancora se lo ricorda. Un leader che in soli quattro anni in cui è stato al potere, ha garantito al suo popolo scolarizzazione, acqua, assistenza sanitaria, lavoro.Poveri si, ma nella dignità. Sankarà è stato assassinato nel 1987 in un colpo di stato. Con la sua morte questa favola ha avuto un triste epilogo e il paese è ripiombato nella miseria. Il Burkina è il terzo paese più povero al mondo e quello con il più alto tasso di analfabetismo. La desertificazione avanza rubando terreno alle attività agricole. I bambini muoiono di malaria, di dissenteria, polmonite Aids, e l’aspettativa di vita non supera i 50 anni. Eppure qui si respira aria di cultura e di tradizioni, il paese ospita un importante festival internazionale del cinema, compagnie teatrali, ed importanti eventi musicali. Dal 1987 ospita anche il Tour du Faso, la famosa gara di ciclismo organizzata dalla stessa società del Tour de France, dove anche Coppi partecipò nel 1959 prendendo la malaria, causa della sua morte. Ho voluto uscire dai clichè africani fatti di tramonti e bambini con il pancino gonfio e gli occhi liquidi, per raccontare un popolo e la sua geografia attraverso il ritratto.
LA FIEREZZA NEGLI SGUARDI di Roberto Mutti
In Africa la tradizione del ritratto è molto radicata. Esploratori e viaggiatori, colonialisti e missionari legati a un’antropologia eurocentrica che osservava “l’altro” come un elemento estraneo da studiare, fecero della fotografia un importante strumento di documentazione. La fotografia si diffuse nel continente africano anche perché le due nazioni che le avevano dato i natali (la Francia di Daguerre, l’Inghilterra di Henry Fox Talbot) erano anche le più agguerrite colonizzatrici. Così gli africani se ne appropriarono per farne un proprio strumento espressivo di emancipazione. Quando in Ghana nel 1922 Bruce Vanderpuije apre lo studio Deo Gratias, (che ha ispirato anche il titolo di questo calendario) avviene una piccola rivoluzione perché quei ritratti diventano il simbolo di una rivendicazione sociale. Anche altri fotografi africani sono diventati piuttosto famosi in occidente, il senegalese Mama Casset e soprattutto Seydou Keita e il suo allievo Malick Sidibé, entrambi originari del Mali.
Idealmente inserita in questa tradizione culturale, Silvia Amodio si è trovata a suo agio quando, posta di fronte alla realtà del Burkina Faso, l’ha affrontata attraverso il ritratto. Anche in virtù della sua predilezione per la sobrietà, ha utilizzato un semplice fondale di tessuto, trasformando quei piccoli spazi un luogo dove persone comuni si avvicendavano per farsi ritrarre stabilendo un rapporto diretto e complice con i suoi soggetti. Silvia Amodio non ha scattato immagini dure o ricattatorie, ma ricche di indizi per cercare nel profondo le sfumature e le contraddizioni di questo popolo. La scena è rumorosa, costantemente attraversata da estranei e talvolta solcata dall’improvviso irrompere di una motocicletta. Ma è anche il luogo dove una piccola folla di curiosi circonda lo spazio assumendo nei fatti un ruolo da co-protagonista e segnando i confini al cui interno, come a teatro, tutto si realizza.
BIO
Silvia Amodio (Milano, 1968) si laurea in filosofia con una tesi sperimentale svolta alle Hawaii sulle competenze linguistiche dei delfini. Nella sua attività di fotografa e giornalista ha collaborato con periodici come L’Espresso, Airone, D la Repubblica delle donne, Anna, Famiglia Cristiana e da molti anni collabora al periodico L’Informatore Unicoop Toscana.
Sue opere sono state pubblicate su riviste quali Arte Mondadori, Zoom, Photo, Progresso Fotografico. Da tempo ha operato scelte espressive che coniugano etica ed estetica affrontando, attraverso ritratti realizzati con rara sensibilità, temi complessi come la diffusione dell’Aids in Sudafrica, la sofferenza delle vittime dei preti pedofili, il problema dei bambini lavoratori in Perù, la dignità delle persone affette da albinismo e la malnutrizione in Burkina Faso.
Con queste opere Silvia Amodio si è anche affermata nel mondo della fotografia d’autore mostrando i suoi lavori in gallerie e spazi istituzionali in Italia, Stati Uniti, Francia, Inghilterra, Olanda. Ha pubblicato i volumi “Volti positivi” (2007), “Tutti i colori del bianco” (2012) “Nessun uomo è un’isola” (2012), “L’Aquila riflessa” (2012). Nel 2008 un’opera tratta dal progetto “Volti Positivi” è stata selezionata, unica italiana, al Taylor Wessing Photographic Prize indetto dalla National Portrait Gallery di Londra. Nel 2012 le sono stati assegnati il Premio Creatività-Nettuno Photo Festival e il Premio Città di Benevento per la fotografia.