Approfondimenti
Approfondimenti
PSYCHO IN FAVOLA
Niccolò Lucarelli
La fiaba con incisività ha saputo ritrarre il genere umano attraverso complesse allegorie,
scavando nei suoi atteggiamenti psicologici più morbosi. E il Novecento, il Secolo Breve
che è stato l’anticamera di un Duemila inquietante, ha portati allo scoperto quelli che sono
gli aspetti più interessanti della fiaba, vedi Freud, Jung, Lacan.
Il primo aspetto che emerge è quello dell’inconscio collettivo, del quale la fiaba si faceva
portavoce per le future generazioni e dove la funzione principale era quella di educare e
sensibilizzare i bambini alle difficoltà dell’esistenza.
Le tante figure dei personaggi sono allegorie del bene e del male, una sorta di tarocchi
animati per esorcizzare l’ignoto, per renderlo più conoscibile e conosciuto.
Cosa resta oggi della fiaba? Tutto. La fiaba apre varchi insospettati in quel sottosuolo che
già Dostoevskij esplora in un celebre romanzo. Oltre un secolo dopo, nella piena frenesia
dell’edonismo reaganiano, Bret Easton Ellis esplora più approfonditamente quel sottosuolo
mentale con piglio dostoevskijano e immortala in American Psycho un universo posticcio
di denaro facile, ipocrisie, culto della bellezza, e filosofia dell’apparenza. Una realtà dove a
trionfare sono i “cattivi”.
Lo specchio, che più volte ricorre nelle fiabe, è tutt’oggi un oggetto-ossessione, allegoria
elegante e malvagia di desideri spesso inconfessabili. Biancaneve e Cenerentola, due
fiabe oggi all’apparenza innocue, affrontano lo scabroso tema dell’invidia, declinata
sottoforma di gelosia sessuale.
La magia riveste nella fiaba un ruolo fondamentale, residuo delle superstizioni medievali e
simbolo della fascinazione dell’uomo per ciò che è irraggiungibile, inspiegabile, e per
questo proibito, mortale, maledetto.
L’uomo è diverso, mostra le prime inquietudini, ma non per questo si rassegna
all’involuzione, anzi si apre sempre più a questa Natura “magica”, opponendole la forza
della ragione. Influenzati dalla stagione dell’Illuminismo, i fratelli Jakob e Wilhelm Grimm
composero la prima raccolta sistematica di fiabe tedesche, ma anche francesi, battendo le
campagne e raccogliendo oralmente le fiabe dai contadini che erano da sempre i
depositari di quella saggezza. Operazione che rivestì anche un ruolo politico, ovvero
l’unificazione culturale della Prussia.
Nella nostra epoca, dove la magia sembrerebbe scomparsa, ha in realtà trovato un erede
nella tecnologia, capace di riempire almeno in parte quello spazio vuoto fra volontà di
azione e azione vera e propria.
Lo specchio, irrinunciabile feticcio per guardarsi e guardare gli altri, o anche guardarsi
attraverso gli altri, si è ingigantito dopo che l’illimitato mondo del web lo ha in qualche
modo sostituito. I social network sono non-luoghi dove mettersi in mostra, osservare gli
altri che fanno altrettanto, e scambiare o spiare commenti, gelosie, pensieri e
provocazioni. E come nelle fiabe citate, l’invidia che nasce dal confronto con lo specchio,
suscita desiderio di vendetta e sopraffazione. Il recente, brutale omicidio Scazzi, nato su
Facebook e consumato nel mondo reale, purtroppo lo dimostra.
Si assiste oggi a un vero e proprio culto della violenza, che ogni anno ha come vittime
centinaia di migliaia di donne in tutto il mondo. Quasi sembra di rileggere le gesta di
Barbablù.
Quanto in avanti può spingersi l’istinto dell’uomo? È una domanda che la fiaba pone,
senza dare una risposta precisa, poiché l’uomo è ancora, per molti versi, inconoscibile.
FIABA, (COMUNIC)AZIONE UNIVERSALE
Rudy Pulcinelli
Racconto oggi destinato soprattutto ai fanciulli, narrante fatti meravigliosi e fantastici, in cui
intervengono maghi, fate, esseri dotati di poteri soprannaturali. Così si presentano ad un
primo impatto le fiabe; in realtà ciò che esse comunicano sono cose concrete che hanno
origini profonde derivate da credenze popolari, frutto sicuramente di una necessità
collettiva che vuole manifestare, anche se in modo allegorico, un disagio, una paura, un
pericolo, in fin dei conti la nostra fragilità.
La storia raccontata serve in qualche modo per esorcizzare queste difficoltà. Inizialmente
si trattava di strutturare una breve storia per sottolineare, portare in luce e tenere a
memoria alcune situazioni della vita e magari auspicare delle soluzioni o semplicemente
porre attenzione su alcuni aspetti negativi dell’esistenza.
La fiaba, formulata come la troviamo adesso, è frutto del lavoro dei fratelli Grimm, i primi a
fare uno studio comparato archiviando una serie di racconti, ascoltati direttamente alla
fonte e cioè, da quelle persone che da sempre avevano tramandato tali propositi. È con la
fiaba odierna, quindi scritta, che capiamo la forza comunicativa universale che gli
appartiene. Diventa così uno strumento incredibile capace di diffondersi, di spaziare fuori
dai propri confini facendoci capire perchè tali racconti, una volta tradotti nella propria
lingua per essere comprensibili, subito ci appartengono nonostante siano generate da
popoli, usanze e territori lontanissimi rispetto a noi, perchè la fiaba è creata dall’uomo per
l’uomo con un unico scopo, proteggerlo.
IL CANTO DELLE FIABE DEI GRIMM
Claudio Balducci
Cerco la donna:
nel ventre ascosa - del lupo sta.
E la bambina,
Muta in silenzio,
che il cacciatore - aspetterà.
Cerco l’azzurro
prince del canto - che non esiste,
ma nell’attesa - di essere atteso,
anche lui sta.
Cerco la donna,
scarpe di vetro - che un dio-vendetta
portò nel regno
della giustizia - dell’irrealtà.
Cerco dell’orco
la crudeltà - e della bambina
furba l’astuzia
e il sempre oscuro viver contenti
d’inesistenza - dell’infinito
tempo che va.
Cerco le notti,
oscure e fredde - del nonno-abbraccio
e dei racconti,
lotta al suo sonno - luce dischiusa
di mondi visti - mai nella vita
e del bambino
che il suo coraggio - vede nel prince
che non esiste - che lui sarà
e che nell’attesa - di essere atteso,
proprio qui sta.
Cerco d’umani
la gelosia - che nel profondo
certo sarà.
Dove nel fondo?
Sotto la cima - sotto l’altezza
del tuo valore,
lì sotto sta:
l’intelligenza, l’abilità,
l’astuzia e il cuore - e la bellezza,
proprio lì sta.
La figlia vive
della bellezza - l’ingenuità.
E la regina
la cui bellezza – vuota - il potere
causerà.
Cerco chi siamo - e chi vorremmo,
cerco la fiaba - che mi racconta
felicità
e la nasconde
sotto il mio mostro - senza svelarmi
cosa sarà.
Cerco il mio bene
nel vuoto correr - del giorno lieto
che un dì sarà.
KASSEL E IL “WIENBERG CASE”
TRA VECCHI VIGNETI E NUOVI MUSEI
Alessio Zipoli
In principio era dOCUMENTA. Alloggiavo nel Nordrhein-Westfalen e avevo concordato un
reportage diretto con un paio di riviste italiane, oltre ad aver preso contatti con l’ufficio
stampa della rassegna di Kassel, tramite il Dipartimento Arte dell’Università Statale di
Milano. Era anche previsto ad hoc un articolo per Skeda su un altro evento clou del 2012:
il bicentenario della pubblicazione delle “Kinder-und Hausmärchen” dei Fratelli Jacob e
Wilhelm Grimm, i celebri cittadini che elessero questo incantato paese sulle rive del
Fulda a epicentro delle loro ricerche fiabesche.
Nel frattempo la seconda guerra mondiale ha cancellato molti splendori della preziosa
residenza del Palatinato, compresi molti tranci di quella foresta infinita dove erano stati
ambientati i racconti di Hänsel, Gretel, Cappuccetto Rosso e di altri protagonisti fantastici
ormai conosciuti in tutto il pianeta. Poi l’idea geniale di dOCUMENTA, riunire sulle
macerie i più grandi artisti viventi, ricostruire la città con i cantieri e i picconi, ma anche con
l’urgenza creativa dell’arte, chiamata ogni cinque anni a personalizzare, abbellire, esaltare
un complesso urbano sempre più definito e plasmabile, unico al mondo.
Due fenomeni culturali di livello internazionale convivono in armonia reciproca, a partire
dall’ubicazione adiacente della Neue Galerie, principale museo di arte contemporanea
insieme al Fridericianum Museum, e di Palais Bellevue, la sede storica del Museo dei
Fratelli Grimm. Un rapporto di buon vicinato che rispetta le peculiarità molto diverse delle
offerte museali: le sale di ambientazione dei Grimm protese a far scoprire un passato che
ha rischiato di esser cancellato dai bombardamenti e dal rapido susseguirsi delle epoche
moderne, le sedi di dOCUMENTA finalizzate a costruire una nuova identità del presente,
forgiata da quasi sessant’anni di contatto diretto con le principali realtà artistiche mondiali.
Nei primi giorni di permanenza in città noto però una leggera discrasia tra le due
manifestazioni: la rassegna di arte contemporanea copre e si distende dentro ogni
quartiere, ricavando sedi e venues divulgative in ambienti pubblici e abitazioni private, il
museo dei fratelli Grimm sembra in imbarazzato isolamento. Tutto funziona, lo staff è
cortese, ma non sembrano esservi tracce di quello spasmodico festeggiamento che sta
attraversando l’Europa nell’anno del bicentenario. E l’atmosfera sospesa è marcata ancor
più dal pirotecnico avvicendarsi di decine di eventi a pochi passi: strano pensare ad un
semplice monopolio vittorioso della tredicesima edizione di dOCUMENTA, per quanto
molto attesa. Poi un giorno mi sono incamminato verso il colle di Wienberg, “il Vigneto”
appunto, una distesa silenziosa di terrazzamenti di vite e frutteti lussureggianti che da anni
rimane l’unica cintura verde entro i confini del centro storico. Paradossalmente la
vegetazione è cresciuta proprio sopra l’area bunker della città, come se da quelle cantine
umide e tetre fosse nato un riscatto naturale, una seconda vita per la città.
C’è persino un belvedere, considerato il migliore della città: sto aspettando il mio turno
dietro ai giapponesi per la foto ricordo, quando noto affissi sugli alberi una serie di
volantini colmi di punti esclamativi. Si parla di un’emergenza, è un appello agli abitanti e ai
visitatori di Kassel. L’amministrazione comunale vuole costruire un nuovo museo dei
Fratelli Grimm esattamente sulla collina verde di Wienberg, riducendo il parco principale
della città a “splendido giardinetto” dell’incombente plesso museale. Ma nessuno lo sa. O
meglio, nessuno lo sapeva prima dell’entrata in campo di “Rettet den Wienberg” -
tradotto “Salviamo il Vigneto” – un movimento auto-organizzatosi di cittadini di Kassel
che hanno deciso di non rimanere passivi davanti ad un progetto urbanistico così
controverso.
L’aria di limbo che si respirava al museo attuale era dovuta proprio a una situazione non
risolta, che si è preferito non rendere nota al proficuo traffico turistico di dOCUMENTA.
L’iniziativa prevista per il bicentenario è stata proprio tale annuncio, avvenuto circa un
anno fa, sull’improvvisa decisione di costruire il nuovo museo, e di farlo sul parco del
vigneto. Improvvisa solo come notizia, perché l’entourage del sindaco era da anni alla
ricerca di uno spazio più ampio per l’esposizione museale, vista la ridotta disponibilità
dello storico Palais Bellevue (provvisto comunque di due piani inutilizzati). Come mi
spiega Debora Bigalk, portavoce e una delle responsabili del Reitten Den Wienberg,
l’esigenza effettiva potrebbe esserci, soprattutto se Kassel volesse dotarsi di una struttura
pronta ad accogliere un bacino internazionale di visitatori e iniziative. Ciò che non è stato
gradito è stato il modus operandi sotterraneo di accordi unilaterali, in cui i cittadini si sono
trovati davanti alla decisione finale – e non al legittimo movente iniziale – e l’arbitrarietà di
una soluzione non proposta, ma imposta. Una soluzione che oltretutto compromette la
quasi totalità del parco di Wienberg, l’Henschelpark, in base alla stessa motivazione per
cui i cittadini vogliono opporsi: è l’area verde più importante e incantevole di Kassel.
Da qui la domanda che avrebbe fatto arrovellare alcuni storici architetti dell’International
Style: un museo in mezzo ad un parco lo valorizza o lo mortifica? La risposta in questo
caso nasce evidente dal fatto che, consultando i progetti insieme a Debora, si nota come il
nuovo edificio andrebbe a coprire la quasi totalità del parco, oggi meta prediletta dei
bambini e delle passeggiate degli ospiti presso la vicina casa di riposo cittadina. Lo scopo
delle considerevoli dimensioni del nuovo museo è quello di creare un vero “Grimm-Welt”,
parole del sindaco Bertran Hilgen, una disneiana attrazione di richiamo spettacolare, oltre
a collegare così la Neue Galerie e il poco più distante Museo dell’Arte Sepolcrale,
anomalo nella sua peculiarità ma apprezzato come uno dei più completi al mondo,
formando così – sempre a detta di Hilgen – «una catena di perle». Perle comunque tra
loro poco compatibili, soprattutto quando un’alternativa più consona e “fedele al concetto”
si è resa disponibile. Sia nei piani iniziali del comune – che nella volontà degli abitanti – vi
è sempre stato il trasferimento nell’antica residenza dove i Grimm hanno realmente
soggiornato per anni presso la “Torwache”, un palazzo-torre che non a caso si trova
nella “Bruder Grimm Platz”, accanto al Museo di Stato Federale, entrambi di proprietà
dell’amministrazione regionale. Dopo anni di ipotesi e progetti ambiziosi mai realizzati i
piani alti dell’Assia hanno deciso di rendere disponibile l’intera area: un’occasione ideale
per riportare “a casa” la memoria dei fratelli, nel luogo dove hanno composto la
maggioranza dei propri racconti. Davanti a questa chance irripetibile di far quadrare storia
e bilancio (rendendo superflua la costruzione di un altro edificio) il comune si difende
dietro ad un “è troppo tardi”, cercando di raffreddare la questione - appesantita dal grave
debito pubblico che le casse comunali trascinano da anni - dentro le discrete mura della
città.
Peccato che il vaso di Pandora, una volta scoperchiato, ha reso i cittadini consapevoli
della superficiale gestione avviata sul proprio patrimonio culturale, dando il via ad una
serie di mobilitazioni deflagrate in tutta la nazione, con interventi e interviste di televisioni
prima locali e poi nazionali. Siamo arrivati al pugno di ferro, il Reitten Den Wienberg e
Kassel hanno richiesto un referendum da 6.000 firme, per bloccare e ripensare il progetto
del “Grimm-Welt”. Il consiglio comunale ha respinto la petizione e adesso Debora e gli altri
attivisti stanno valutando in queste settimane di portare nelle aule dei tribunali quello che
ormai la stampa chiama il “Wienberg Case”.
Non vi è sterile polemica, non vi sono partiti presi, vi è solo una richiesta di partecipazione
comunitaria su una questione che riguarda l’identità dell’intera città. Come mi è stato detto
da alcuni protagonisti dei Reitten Den Wienberg, “la nostra principale intenzione sarà
quella di un rinnovato museo per I Grimm, ma anche l’adeguata partecipazione di tutti I
cittadini alle questioni economiche e pubbliche della città, per una cura dei nostri diritti
democratici”. Credo che i Grimm avrebbero apprezzato, nella loro ottica di divulgazione:
“non ci importa quanto saremo pagati per la pubblicazione dei nostri racconti, ma che essi
arrivino a più persone possibili”. Difficile concepire un azione più miracolosamente
fiabesca: unirsi per salvare un vigneto, e con esso la “naturale” tradizione del luogo.
LA FIABA E L’ARTE EXTRA-ORDINARIA
Erica
Il 6 maggio 1812 Jacob Grimm scriveva, anche a nome del fratello Wilhelm, la seguente
lettera a L. Von Arnim: “Se tu puoi persuadere qualche editore a pubblicare racconti per
bambini che noi abbiamo raccolto ti prego di farlo; noi siamo disposti a rinunciare a
qualsiasi retribuzione; potremmo chiederla se mai per una eventuale nuova edizione; poco
importa che la carta e la stampa siano buone o cattive; nel secondo caso il volume costerà
meno e quindi ne sarà più facile la diffusione; non abbiamo che un desiderio, quello di
incoraggiare, con questo esempio, delle raccolte dello stesso tipo; ed è per questo che noi
proporremmo di aggiungervi una lista dei racconti che mancano o che sono incompleti, ma
oltre a ciò non vi sarebbero né note né commenti”1. L’idea dei due fratelli non era nuova e
rientrava in quelle istanze appartenenti al mito della poesia popolare foggiate dai nuovi
impulsi provenienti con l’avvento del romanticismo tedesco. Si trattava quasi di un’impresa
nazionale, in cui bisognava riconoscere e ricostruire la propria anima e la propria identità.
Difatti i Grimm, pur considerando che il loro lavoro poteva essere utile anche per
l’educazione infantile, si erano proposti il compito di compilare un’opera scientifica, che
fosse l’eco e il potenziamento del patrimonio educativo-nazionale del loro paese e, allo
stesso tempo, uno strumento che potesse giovare agli studi sul folklore2. Oggi possiamo
aggiungere che la fiaba tedesca presenta numerosi punti di contatto con un ulteriore
argomento che godette in quegli anni di particolare terreno fertile, ossia un rinnovato
interesse verso il mondo dell’onirico. La fiaba, infatti, spesso ha il ruolo di portare alla luce
paure inconsce sotto forma di racconti, dove la realtà cede il passo al sogno e alla più
sfrenata fantasia. Tuttavia, parlare prettamente di inconscio è anacronistico, poiché è una
dimensione studiata e teorizzata tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento,
soprattutto con Freud e L’Interpretazione dei sogni (1899). Le celeberrime fiabe dei
Grimm, come Cappuccetto Rosso, Hansel e Gretel, Biancaneve, arrivate a noi anche
attraverso l’interpretazione “sentimentale” della Walt Disney, non erano pensate solo e
propriamente per l’infanzia. Ebbene, sappiamo, infatti, che intorno al focolare si narravano
storie, che avevano lo scopo di intrattenere le lunghe sere di rigidi inverni, dove il vento
soffiava forte ed ingannava i brividi del freddo con i torpori dell’anima. I contenuti, destinati
soprattutto ad un pubblico adulto, avevano anche il compito di stimolare nel bambino
un’immaginazione pensante: la compartecipazione di tutti i presenti era così piena e
realizzata. Le fiabe del focolare erano storie consegnate all’oralità, destinate alla
eterogeneità della famiglia, uno strumento sociale di aggregazione e un rito familiare di
condivisione di spazi fisici e morali. Il protagonista bambino rispetta, inoltre, quel modello
archetipico del “bambino perduto”, specchio allegorico dell’anima che risiede in ciascuno
di noi e che è necessario ritrovare. La fiaba era anche portatrice di una forma di
educazione sessuale indiretta, poiché il bambino e il suo comportamento rappresentavano
la sessualità e la sua formazione, ossia lo sviluppo affettivo e le relazioni oggettuali:
solitamente, il processo di sviluppo del bambino inizia con una fase di resistenza ai
genitori e con la paura di crescere e termina quando il giovane ha realmente trovato se
stesso, raggiunge l’indipendenza psicologica e la maturità morale, non considera più l’altro
sesso come minaccioso ed è capace di entrare positivamente in relazione con esso. Le
fiabe della tradizione occidentale, infatti, adombrano i riti di pratiche iniziatiche, dove lupi,
matrigne e streghe rappresentano altrettante traslitterazioni dell’antagonista oscuro da
affrontare e sconfiggere, per tornare, fortificati e degni di un nuovo status, nel mondo degli
uomini. Ecco perché le fiabe contengono sempre la narrazione di un ritorno, o
contemplano l’idea di un viaggio, che è a sua volta metafora di una trasformazione:
1 Giuseppe Cocchiara, Prefazione, in Jacob e Wilhelm Grimm, Le fiabe del focolare, Torino 1951, p. VII.
2 Cocchiara, Prefazione, cit., p. X.
Cappuccetto Rosso torna dalle viscere del lupo, Hansel e Gretel dalle profondità del
bosco, Biancaneve dall’alto sonno nella sua bara di cristallo. L’elemento basilare della
fiaba è la dimensione selvatica e misteriosa del bosco, una situazione extra-ordinaria,
dove l’entrare e l’uscire dal bosco simboleggia l’entrare nella morte e il ritorno alla vita. Tra
il bosco e la civiltà è segnata una soglia immaginaria, definita da codici rigidissimi che
marcano i confini tra tutto ciò che era la città “diurna” (il mondo luminoso e definitivo) e
quello che invece non lo era, ossia i luoghi extra moenia o sommersi, in cui avvenivano
trasformazioni oscure ma necessarie, sul cui mistero non era lecito interrogarsi. Ogni
passaggio tra stadi diversi dell’esistenza apparteneva a questa dimensione, in cui si
entrava e si usciva da soli. Nella fiaba possiamo così recuperare immagini mitopoietiche
per un possibile pensiero non solo sull’enigma e l’origine, ma anche sull’identità sessuale:
la fiaba intrattiene il bambino e gli permette di conoscersi perché offre significato a molti
livelli e sviluppa le sue capacità di giudizio. Nell’adulto, invece, i valori mitici della fiaba
stimolano un’accesa e talvolta delirante fantasia e così uomini, animali e piante vivono in
un mondo idealizzato e infinito, dove ciascuno di loro parla e vive allo stesso identico
modo. La suggestione artistica è forte e questo mondo incantato diventa innegabilmente
affascinante. Anche nella produzione artistica del periodo in esame è possibile rintracciare
qualcosa che si associa a questo tipo di fascino arcano e misterico: troviamo così un filo
rosso importante, e qui non intendo affatto riferirmi alle illustrazioni che le fiabe hanno
stimolato, importanti sì ma oggetto di studio decisamente notorio e talvolta abusato, ma
con un azzardo cerco, invece, di dimostrare il possibile legame tra questi racconti popolari,
ciò che rappresentano e la produzione di artisti vissuti in quel periodo. Per l’esattezza ho
nella mente due opere di Fussli e di Goya, rispettivamente L’incubo (1781) e Il sonno della
ragione genera mostri (1797-98). Le ho davanti come un’apparizione e ai miei occhi si
apre uno scenario assai complesso: intorno a quel focolare, dove davanti si ha la luce
rassicurante del fuoco e alle spalle il buio completo della stanza, ecco che incubo e realtà
si mescolano, i mostri temuti si materializzano e si fanno spazio nella cortina oscura della
stanza, si specchiano chiaramente persino nella tremula luce del fuoco e delle candele;
chi ascolta gli par di stare in sogno, in un incubo appunto, dove si sente poter tramortire
da un momento all’altro pur veglio. L’azzardo da me compiuto può essere tuttavia
sostenuto da un ulteriore aspetto: incubo e fiaba si giocano entrambe sul piano della
sessualità, della violenza e delle paure insite nell’uomo. Entrambe le opere citate
rappresentano l’incubo, fucina di paure e per antica tradizione avente una forte
connotazione sessuale. Difatti in Goya gli uccelli indicano lussuria e sozzura, mentre la
presenza del gatto è legata al mistero e alla negatività in genere: in questa incisione si
parla di un sogno in cui la ragione cede il passo alla fantasia, capace sia di generare
mostri impossibili sia di essere l’origine dell’arte stessa, ma nella realtà la ragione fa il suo
ritorno e porta la fantasia nelle forme dell’arte. In Fussli, invece, sappiamo che l’opera
nacque proprio in seguito ad un innamoramento dell’artista, passione infine amaramente
delusa. Quest’immagine evoca così interessanti riflessioni: il mistero dell’amore viene
stregato da una passione travolgente che non trova tuttavia il suo riposo, e il nano che
preme sul petto della donna, accasciata tra mostri e drappi rosso cupo, rappresenta
l’apparire dell’incubo durante il sonno, immettendosi in un possibile sogno felice con la
prefigurazione di un male presente ed opprimente. Dal brutto sogno è possibile svegliarsi,
affannandoci nel comprendere almeno l’essenziale senza pretendere che vi sia alcun lieto
fine… credo, a questo punto, che fiaba ed arte rappresentino una ricostruzione ed insieme
un’elaborazione, che interpreta e trasforma, e dove nella fiaba si può aggiungere quel “…e
vissero tutti felice e contenti”, con l’intenzione di garantire l’augurato risultato della vittoria
del bene sul male per liberarsi dal peso del demone che ci perseguita. Illusioni forse, ma
concludendo, questo osato connubio di forze tra fiaba ed arte, mi porta a pensare che
parola ed immagine possano prendere le redini della situazione e, con il loro potere
taumaturgico ed esorcizzante, governare le menti verso approdi sicuri: lì dove la notte è
più scura e l’anima teme e il corpo vibra di angosce arcane, l’una cerca di consolare col
moto di parole incantate, l’altra rincuora gli animi affidando gli occhi alla palpabilità visiva
della tela. Le fiabe vanno perciò considerate come veri e propri prodotti intelligenti di una
visione complessa ed elaborata delle angosce dell’umanità, mentre l’arte rappresenta qui
la possibilità di essere qualcosa che rende visivamente presente un fatto extra-ordinario,
oltrepassabile con l’immaginazione nel suo magma creativo e che da elemento familiare e
conchiuso si apre a fatto universale.
I RACCOGLITORI DI FIABE
Chiara Recchia
A Kassel, nel land dell’Assia, uscirono nel 1812 le “Fiabe per bambini e del focolare”
(Kinder- und Hausmärchen) dei fratelli Jacob Ludwig Karl Grimm (Hanau, 4 gennaio 1785
– Berlino, 20 settembre 1863) e Wilhelm Karl Grimm (Hanau, 24 febbraio 1786 – Berlino,
16 dicembre 1859). L’ultima edizione delle 212 fiabe risale invece al 1857.
In Italia, nel Regno di Napoli amministrato dagli Asburgo di Spagna, uscì nel 1634 e poi
nel 1636 “Lo cunto deli cunti overo lo trattenemiento de peccerille” di Giambattistra Basile
(Giugliano in Campania, 1566- 23 febbraio 1632), una raccolta di 50 fiabe in lingua
napoletana.
Infatti, pur senza rifarsi alla raccolta delle “Mille e una notte”, patrimonio di racconti indoiranico
passato e arricchito nel medio-oriente e giunto in Europa nel 1715 nella traduzione
in francese di Antoine Galland, la raccolta di Giovanbattista Basile basta per dimostrare
che le raccolte di fiabe popolari sono molto più antiche di quella dei fratelli Grimm di cui
viene celebrato il bicentenario.
L'opera di Basile è nota anche col titolo di Pentamerone, perché si modella sul
Decamerone di Boccaccio: c’è una cornice e ci sono dieci narratrici che si alternano nel
racconto durante cinque giornate.
Nelle due raccolte, quella tedesca e quella napoletana, oltre alla volontà di fissare per
iscritto quella materia tipicamente orale che è il racconto fiabesco, notiamo altre
coincidenze, a incominciare dai titoli centrati ambedue sul rapporto fra adulti e bambini,
tipico del racconto di fiabe, per finire con il riconoscimento di dignità culturale a quella
materia popolare incluso il linguaggio nel quale essa si esprime.
Per quanto riguarda i contenuti delle storie, in ambedue le raccolte c’è la chiara
consapevolezza della loro unicità e insieme della loro multiformità. Infatti le fiabe, pur
essendo presenti in tutti i patrimoni culturali popolari, presentano delle varianti tipiche di
ciascuno di essi. Il fenomeno è stato studiato ampiamente nel secolo scorso, prendendo
come esempio alcune fiabe molto note, come Cappuccetto rosso, Cenerentola,
Biancaneve.
Gli studi di Vladimir Propp nel 1928 hanno messo bene in evidenza la “morfologia della
fiaba” e quindi il carattere universale del patrimonio fiabesco. Lo studioso ha individuato
31 elementi che si ritrovano identici in tutte le fiabe, anche se variamente presenti e
combinati.
Nell’analisi di Propp essi si chiamano “funzioni”, in quanto sono punti cardine dell’azione
ai quali i personaggi reagiscono in un modo o in un altro. Dopo la situazione iniziale, che
introduce la narrazione, sono le funzioni che mandano avanti l’intero racconto. Propp ne
individua 31:
“ 1 . Allontanamento. L’eroe o un membro della famiglia lascia la sicurezza dell’ambiente
iniziale. Questo evento causa tensione nella storia che quindi ha veramente inizio. Può
essere il momento in cui viene presentato l’eroe, spesso ritratto come una persona
normale.
2. Divieto. All’eroe viene posto un divieto/viene allarmato su quello che potrebbe
accadere da una sua azione.
3. Infrazione. Il cattivo (o antagonista) entra nella storia (poiché un divieto è stato
infranto). Non necessariamente il cattivo ha un confronto con l’eroe.
4. Investigazione: Il cattivo cerca di raccogliere informazioni sull’eroe (spesso sotto
mentite spoglie) magari parlando con un membro della famiglia o rubando qualche cosa.
5. Delazione: Il cattivo riceve delle informazioni sull’eroe o sulla vittima. Altre informazioni
possono inoltre essere acquisite, come la posizione di un tesoro o una mappa.
6. Tranello: Il cattivo tenta di ingannare la vittima cercando di rapirla o di rubarle qualcosa.
Spesso usa le informazioni accumulate per ingannare l’eroe o la vittima con un
travestimento, usando la persuasione oppure a volte la magia.
7. Connivenza: La vittima viene ingannata e finisce con l’aiutare il cattivo senza saperlo. Il
tranello del cattivo sortisce l’effetto desiderato e la vittima o l’eroe sono suoi burattini.
L’aiuto che possono dare al cattivo varia dal fornire qualcosa di importante (ad esempio
una mappa o un oggetto magico) allo scontrarsi con personaggi buoni.
8. Danneggiamento o Mancanza: Il cattivo causa un danno /fa del male ad un membro
della famiglia (rapimento, saccheggio, incantesimo, omicidio, imprigionamento, matrimonio
forzato ecc..) in alternativa, ad un personaggio della famiglia manca qualcosa o desidera
qualcosa. Queste due opzioni possono apparire insieme o alternativamente nella storia.
9. Mediazione: la funzione 8 viene resa nota. L’eroe può trovare la sua famiglia in uno
stato di agitazione oppure la comunità devastata e afflitta.
10. Inizio della reazione: L’eroe decide di agire in modo da risolvere la mancanza. Per
esempio cercando un oggetto magico, salvando chi è stato catturato oppure sconfiggendo
il cattivo. Questa è una funzione importante poiché da una svolta alla narrazione e
cementa i presupposti per la futura azione. Può essere in questo momento che, la
persona che fino a prima risultava “normale” si configura come “eroe”
11. Partenza: l’eroe lascia la casa/villaggio.
12. Prima funzione del donatore: l’eroe viene messo alla prova, attaccato, interrogato, in
modo da essere preparato a ricevere l’oggetto magico o incontrare l’aiutante o donatore.
13. Reazione dell’eroe: l’eroe reagisce alle azioni del futuro aiutante (supera la prova,
libera i prigionieri ecc…) generalmente passa la prova.
14. Acquisizione oggetto magico. L’eroe acquisisce l’oggetto magico che può essere
prestato, comprato, apparire spontaneamente, ingerito, oppure apparire sotto forma di
personaggi che si mettono a disposizione dell’eroe.
15. Trasferimento: l’eroe viaggia, è portato o condotto in vicinanza dell’oggetto della
ricerca.
16. Lotta: L’eroe e il cattivo hanno uno scontro diretto, fisico o di astuzia.
17. Marchiatura: L’eroe è marchiato o per mezzo di una ferita o per mezzo di un oggetto
(es. anello)
18. Vittoria: il cattivo è sconfitto (ucciso in combattimento, ucciso nel sonno, sconfitto
durante lo scontro, scacciato.) perde comunque la sua funzione negativa.
19. Rimozione: L’eroe viene liberato dal danneggiamento o la mancanza viene risolta.
20. Ritorno: L’eroe ritorna nella comunità senza altre indicazioni
21. Persecuzione: L’eroe viene perseguitato e il persecutore cerca di ucciderlo, mangiarlo
o mettere a repentaglio la vita o le azioni dell’eroe.
22. Salvataggio: L’eroe si salva
23. Arrivo in incognito: L’eroe arriva al proprio paese sotto mentite spoglie. Non viene
riconosciuto.
24. Pretese infondate: Il falso eroe avanza pretese infondate sulla vittoria
25. Prova: All’eroe viene imposto un compito difficile, una prova da superare (una prova
terribile, enigma, prova di forza)
26. Soluzione: la prova è conclusa con successo
27. Identificazione: l’eroe viene riconosciuto.
28. Smascheramento: Il falso eroe viene o il cattivo viene smascherato
29. Trasfigurazione: All’eroe viene data una nuova apparenza (nuovi vestiti, è reso bello,
le ferite vengono guarite)
30. Punizione: Il cattivo viene punito
31. Matrimonio: L’eroe si sposa oppure sale al trono (lieto fine)”.
Le funzioni non sono tutte presenti nella stessa fiaba né si presentano nello stesso
ordine, ma certi elementi tipici li ritroviamo sempre: ad esempio una funzione per andare a
buon fine deve essere ripetuta tre volte, le prime due volte senza esito positivo.
Oltre alle funzioni, Propp individuò anche 7 personaggi tipo ricorrenti:
“a. Il Cattivo (Antagonista): lotta contro l’eroe, è la causa del danno. b. Il Donatore:
prepara l’eroe al conflitto o gli fornisce un oggetto magico per riuscire nella sua battaglia c.
Aiutante Magico: aiuta l’eroe nella sua ricerca/lotta d. La principessa e suo padre il re.
Questi due tipi si occupano di dare l’incarico all’eroe, identificare il falso eroe, sposare
l’eroe. Nel suo lavoro Propp si rende conto che questi due personaggi non possono
essere divisi da un punto di vista funzionale poiché si occupano delle medesime cose. e. Il
Mandante: il personaggio che rende nota la mancanza e incita l’eroe ad andare. f. L’eroe
(o vittima che diventerà eroe) colui che lotterà contro il cattivo, trionferà, verrà aiutato dal
donatore, sposerà la principessa. g. Falso eroe: colui si prende il merito della missione e
cerca di sposare la principessa con l’inganno.
Questi ruoli nella realtà delle fiabe possono essere ricoperti da più personaggi oppure più
ruoli possono essere ricoperti da un solo personaggio. Ad esempio, la strega che viene
uccisa all’inizio del racconto, viene sostituita dalla figlia nel ruolo di antagonista. Viceversa,
il re può aiutare l’eroe fornendogli una spada magica, ma anche dargli un incarico,
occupandosi di ricoprire il ruolo del mandante.”
Altra opera notevole, per ampiezza e per rigore metodologico, è la raccolta “Fiabe italiane”
di Italo Calvino del 1956, 200 fiabe tipiche delle regioni italiane raccolte dalla tradizione
popolare durante gli ultimi cento anni, trascritte in lingua dai vari dialetti senza
manomettere le forme originali. O meglio le forme che quelle avevano assunto, al
momento della raccolta, sulla bocca dei narratori popolari.
È da ricordare infatti, come ulteriore segno della vitalità delle fiabe, la loro capacità di
trasformarsi nel tempo e nello spazio per caricarsi contemporaneamente di contenuti tipici
delle diverse culture, assumendo una forma stratificata in cui convivono la cultura agricolopastorale
(regine che filano la lana) e quella cortese-medievale (castelli con dame e
cavalieri).
“ La gatta cenerentola” di Basile ha avuto nel 1976 una riedizione musicale e teatrale ad
opera di Roberto De Simone di grande successo, a dimostrazione della vitalità dei
contenuti delle fiabe che continuano a suscitare emozioni e a suggerire riflessioni.
L’elemento fiabesco, magico e senza tempo, è stato utilizzato in varie letterature dando
vita a una letteratura fiabesca d’autore che in certi casi è diventata popolare. Così è
accaduto alla storia di Superman apparsa per la prima volta nel giugno 1938 a New York,
in Action Comics, a firma di Jerry Siegel e Joe Shuster.
Del personaggio del supereroe si è occupato anche Umberto Eco nel 1964 in Apocalittici
e integrati: “L’eroe fornito di poteri superiori a quelli dell’uomo comune è una costante
della immaginazione popolare, da Ercole a Sigfrido, da Orlando a Pantagruel sino a Peter
Pan”.
Analogamente al supereroe anche l’eroina della immaginazione popolare ha assunto
diverse identità, come ha documentato la studiosa Cristina Bardelli analizzando il
personaggio di Cenerentola in un suo recente articolo su Repubblica, scritto proprio nel
bicentenario della raccolta dei Grimm:
“… i Grimm recuperarono storie rintracciabili anche in culture differenti nel tempo e nello
spazio. Esempio significativo di un denominatore comune è "Cenerentola", verosimilmente
di origini medievali francesi; dapprima la scarpetta (in realtà una pantofolina: la "pantoufle"
è riscontrabile in quasi tutte le versioni, oltre alla "mule" e alla "pianella" di Basile) era di
pelliccia di vaio, ossia il petit-gris siberiano che nel Medio Evo contraddistingueva l'alto
rango di corte, magistratura e soprattutto degli ordini cavallereschi, da cui il "vaio" nella
terminologia araldica.
Attraverso la trasmissione orale il "vair", vaio, divenne "verre", vetro; tuttavia, nelle
versioni scritte, l'unica a calzare scarpette di vetro è la Cenerentola che l'immaginario
collettivo identifica con il racconto del 1697 di Charles Perrault - archetipo del film di
Disney, sia pure con elementi derivati dai Grimm -, ovvero la variante depurata dei
concetti sgradevoli e delle componenti cruente insite nella tradizione: è la "Cendrillon"
dello scrittore accademico di Francia ricercato dai sofisticati circoli di corte che, sul finire
del regno di Luigi XIV, fuggivano una Versailles immalinconita e bigotta per riunirsi nel
Palais Royal, residenza parigina del fratello del re, il brillante Filippo d'Orléans, alla cui
figlia Elisabetta-Carlotta (per inciso futura nonna di Maria Antonietta) Perrault aveva già
dedicato il manoscritto di altre famose fiabe. Una interpretazione datata di questa
Cenerentola - e dei racconti di Perrault in genere - vuole che la raffigurazione della
fanciulla bella e buona trattata ingiustamente in un contesto privo di genitori indegni,
vendette e sangue, sia dovuta ad un intrattenimento rarefatto, un gioco di società
letterario; leggendo peraltro i molti "racconti di fate" in voga a partire dal 1690 (cfr. "Les
contes de Perrault dans tous leurs états", Omnibus 2007, contenente 11 fiabe in 96
varianti complessive), osserviamo una realtà diversa: vedi la "Finette Cendron" (pure del
1697) di Madame d'Aulnoy, autrice appartenente al medesimo ambito. "Finette"
contempera fiaba aristocratica ed echi popolari. I genitori (veri) sono sovrani che hanno
perduto il regno perché dissipatori; nell'impossibilità di mantenerle, allontanano a più
riprese con l'inganno le tre figlie ma, con l'aiuto della fata madrina, la più giovane supera
ogni prova fino ad impadronirsi del palazzo di un orco - da lei ucciso con un colpo d'ascia -
, dove diventa "Cendron" poichè ridotta ai lavori umili dalle sorelle ingrate. La scoperta di
un baule con abiti di gala le permette di andare al ballo dove "non" presenzia il principe,
ma nel bosco perde una scarpetta di velluto rosso e perle, trovata quindi dal principe
stesso; lui dichiara che non sposerà nessuna se non la proprietaria di una scarpetta tanto
incantevole.
Le versioni popolari non mediate letterariamente annoverano la Cenerentola della
tradizione còrsa: si chiama Ditu Migniulellu (ditino), è detestata dalla madre ma è amata
dalla fata madrina; ha un primo incontro poco lusinghiero con il principe, che poi non la
riconosce nella elegante creatura partecipante al ballo e che può ritrovare grazie ad un
anello e non ad una scarpetta. Nei Pirenei esiste una variante di rilievo: è la Vergine Maria
a vegliare su una fanciulla rinchiusa in cantina dai genitori che favoriscono l'altra figlia,
cattiva e presuntuosa. La Santa Vergine (la "Consolatrice degli afflitti" della devozione
mariana: siamo nella zona di Lourdes, e Bernadette è morta da appena tre anni al
momento della pubblicazione di questo racconto) libera la giovinetta per farla assistere
alla Messa; in chiesa il signore del luogo è subito preso d'amore e tenta invano di fermare
la sconosciuta, che perde la scarpetta. Le ricerche portano infine alla cantina ed il signore
conduce la fanciulla in chiesa dove già li attendeva il curato per celebrare le nozze.
Di segno diverso la pur vicina Guascogna, dove un re infuriato per un'apparente risposta
irriguardosa e sobillato dalle figlie maggiori ordina la morte della minore; ma un valletto
nasconde la fanciulla e le trova un lavoro di guardiana di tacchini in un regno vicino. Il re
padre è scacciato dal suo palazzo dalle altre figlie che hanno corrotto un notaio; intanto
l'eroina indossa un vestito "color di luna" serbato per lei dal valletto pietoso, va al ballo, fa
innamorare il principe e perde una scarpetta rossa in pelle di Fiandra. Il resto è come da
canone, se non che le sorelle vengono impiccate e poi seppellite in terra sconsacrata. La
Aschenputtel dei Grimm, presa come detto dalla tradizione tedesca, ha matrigna,
sorellastre ed un padre vivo quanto indifferente; assistita da piccioni e tortore, ossia non
da una fata e tanto meno dalla Vergine - i Grimm erano calvinisti -, la fanciulla va ai balli
del re vestita magnificamente: all'ultimo ballo il principe recupera la scarpetta d'oro della
sconosciuta fuggiasca.
Altra variazione significativa è che le sorellastre riescono a calzare la scarpetta, ma solo
perché la loro madre fa tagliare ad una l'alluce e all'altra il tallone; il principe si avvede
dell'inganno, convola con Aschenputtel e i piccioni beccano gli occhi delle sorellastre.
Scarpetta di satin bianco con fibbia di rubini per il lungo racconto della contessa de Ségur
(nata Rostopchine: era la figlia del governatore di Mosca che ordinò l'incendio della città
perchè Napoleone non trovasse che rovine), arricchito da temi delle fiabe letterarie
settecentesche; ed assai complessa la storia tonchinese di Do Thàn "Le due sorelle Tàm
e Càm", edita in Francia nel 1907, in cui la bella Tàm, vessata dalla matrigna e dalla
sorellastra Càm, è protetta da Buddha. La fanciulla perde la scarpetta in una festa
popolare ed il re la sposa; la matrigna causa però la sua morte per farla sostituire da Càm,
mentre Tàm diviene un uccellino e poi una vecchia venditrice di thè finchè, tornata al suo
aspetto e ritrovato il re, fa morire la sorellastra e ne fa servire il corpo cucinato alla
matrigna ignara: la stessa sorte toccata ai perfidi figli della perfida regina Tamora nello
shakespeariano "Tito Andronico".
Un posto particolare è dovuto alla versione contenuta nel "Cunto de li cunti" di
Giambattista Basile, lo straordinario autore barocco amato, tra gli altri, da Croce e da De
Simone (al quale si deve la nota trasposizione teatrale de "La Gatta Cenerentola").
Narratore del magnifico e del bizzarro, ed insieme miniera per storici e filologi per lo studio
della Napoli del tempo, Basile unì, con una lingua dialettale composita e sontuosa,
leggende popolari e cultura aristocratica, fabliaux medioevali francesi e novelle del Tre e
Quattrocento. Zezolla è la figlia di un principe riammogliato con una donna malvagia. La
fanciulla ha una maestra di ricamo di nome Carmosina, che la consola e le consiglia di
attirare la matrigna ad un grosso baule col pretesto di mostrarle il contenuto, per poi farle
cadere sul collo il pesante coperchio; la giovinetta esegue, la matrigna muore e l'astuta
Carmosina sposa il principe. La nuova matrigna sottopone ad ogni angheria Zezolla,
ridotta così a "Gatta Cenerentola", sguattera nel palazzo di suo padre; interviene una fata
con una pianta magica di dattero che procura alla fanciulla splendide vesti ed una chinea
all'arrivo di un re. Questi vuole fare conoscenza, ma ottenuta solo una vezzosa pianella
ordina un banchetto con "pastiere, casatielli, maccheroni e graviuoli" per provare la
calzatura alle convenute; il principe padre dice allora all'anfitrione di avere una figlia, una
"creatura dappoco, non meritevole di sedere dove mangiate voi". Il re replica altero a tanta
meschinità, la pianella è calzata e Zezolla è condotta sotto il baldacchino con la corona in
capo.
Ricordiamo infine "L'exaucée" (1894), racconto singolare e macabro di Marcel Schwob -
all'epoca ancora amico e traduttore di Oscar Wilde -, dove una Cenerentola senza
madrina e con la sola compagnia di un gatto getta la scarpetta sulla strada maestra
confidando nel passaggio del principe; e una carrozza di corte arriva davvero, ma è il
carro funebre del principe atteso. “
Le diverse varianti della fiaba di Cenerentola sono frutto di una lunga ed anonima
elaborazione, ma per celebrare il bicentenario dei Grimm il Goethe Institut di Roma ha
invitato 14 scrittori di successo a scrivere una personale versione di una delle fiabe: così
Eva Baronsky ha messo Hänsel e Gretel nelle mani di uno psicopatico, Sandro Veronesi
ha visto Tremotino tra due ‘ndrine rivali, scrivendo due racconti ispirati agli aspetti cupi e
violenti del mondo dei Grimm.
Gli altri scrittori che hanno accettato l’invito del Goethe Institut sono Giuseppe Culicchia,
Viola Di Grado, Marcello Fois, Jakob Hein, Amara Lakhous, Katja Lange-Müller, Dacia
Maraini, Michela Murgia, Tilmann Rammstedt, Antje Rávic Strubel, Ingo Schulze /
Christine Traber, Lutz Seiler.
Riscoprire oggi le fiabe può significare reinventarle alla luce della consapevolezza delle
trasformazioni sociali avvenute nei due secoli che ci separano dalla raccolta del 1812,
senza per questo tradirne il significato e la insostituibile funzione di mettere in relazione i
bambini con gli adulti, il mondo interiore con il mondo esteriore, la fantasia con la realtà.
Un altro qui
HANSEL E GRETEL GARDEN PICTURE E LE FIABE DI SÀRMEDE
Antonella Sassanelli
New York City. Hansel e Gretel garden Picture. Chi può vada. È una galleria d’arte
contemporanea, specializzata in un lavoro che mira a ridefinire l’arte contemporanea dal
2012 al 2050. Hamsel e Gretel Garden Picture è considerata estrema, ha una spiccata
vocazione che interessa la direzione futura dell’arte, ed è l’unica istituzione commerciale a
New York che presenta esclusivmente lavori post-moderni.
Mostra dell’Illustrazione per l’Infanzia
Mostre di ROBERT DOISNEAU – Palazzo delle Esposizioni, Roma e di GUTTUSO,
complesso del Vittoriano, sempre a Roma, e poi anche DIVISIONISMO. Da Segantini a
Pellizza Milano, GAM Manzoni e BOLDINI, PREVIATI E DE PISIS. DUE SECOLI DI
GRANDE ARTE A FERRARA, Palazzo dei Diamanti. Tutti artisti affermati, correnti
ispirate, manifesti influenti, occasioni sostanziose. Eppure c’è un evento, che compie ben
6 lustri, che sarebbe bene andare a visitare. Anno dopo anno si è imposto sempre di più
come avvenimento di importanza internazionale e di interesse culturale, artistico e
turistico. E’ la Mostra dell’Illustrazione per l’Infanzia di Sàrmede, il paese delle fiabe vicino
a Treviso. Un’opportunità ghiotta, poiché mette a disposizione di tutti - grandi e piccini -
sogni, paure, successi. Tracciati con gli occhi e con il cuore di paesi diversi, disegnati e
segnati da diverse culture, goduti e condivisi nel trevigiano. La Fondazione della Mostra
internazionale, il Comune di Sàrmede e il Consiglio regionale Veneto celebrano a ragione
questo anniversario, promuovendo e incentivando la vetrina internazionale che da
trent'anni espone i lavori dei migliori artisti e illustratori per l'infanzia, con un’edizione
straordinaria dal titolo 30Å~2. La tavole di 60 illustratori tra i più importanti al mondo, ci
faranno strada in un percorso sorprendente attraverso le fiabe, le leggende ed i racconti
narrati con il linguaggio dell’arte. Dal 27 ottobre 2012 al 20 gennaio 2013 nel paese
trevigiano e a primavera a Venezia, dove la rassegna farà tappa a palazzo Ferro-Fini,
sede del Consiglio veneto. L'esposizione veneziana coronerà il successo internazionale
raggiunto dalla manifestazione e vuole evidenziare il valore culturale di un progetto
capace di coniugare arte e territorio, formazione e turismo. Altra eccellenza di questo
paese, è la peculiare tradizione iniziata da Štepán Zavrel: quella dei dipinti murali. Ad oggi
sono cinquanta gli affreschi e i dipinti realizzati da illustratori, artisti e allievi della Scuola
Internazionale d’Illustrazione di Sàrmede. Interessante sapere che la Scuola
internazionale per illustratori d'infanzia, nei mesi estivi viene frequentata da oltre 300 artisti
e docenti tra italiani e stranieri.
LA CASA DEL MONDO
Jacopo Belli
Nella rosa delle tue passioni,
ascolto respiri di eternità.
Cammino nella luce di te,
io mare e tu luna;
mi muovo in alto o in basso,
grazie ai tuoi intenti.
C'è luce,
nella casa del mondo,
in cui un giorno a cielo aperto,
ci siamo svegliati insieme.
Senza tetto,
senza confine ,
ci sono tutti, ma proprio tutti:
i colori del tramonto,
come quelli dell'alba,
semplicemente tutto.
In questa splendida aria ,
già volo,
già voliamo,
verso qualcosa di più,
siamo tutti in viaggio,
già salpati a vento in poppa;
verso una nuova era.